Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la nota n. 4096 del 2019, interviene in materia di enti non profit per fornire alcuni criteri interpretativi sulla normativa vigente. Le indicazioni del dicastero arrivano a riscontro di alcuni quesiti posti in materia di ammissibilità della proprietà delle quote maggioritarie da parte di soci profit. Il Ministero chiarisce anche se, e in quali casi, è possibile che soci profit possano assumere cariche sociali in questi soggetti operanti nel terzo settore.
Con la nota n. 4096 del 3 maggio 2019, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali fornisce riscontro ad alcuni quesiti pervenuti in merito alla disciplina delle cariche sociali nelle imprese ed associazioni appartenenti al terzo settore. È stato infatti richiesto il rilascio di un parere ministeriale riguardo il caso di un ente costituito da un socio unico e l’attribuzione di eventuali cariche a enti e soggetti profit.
Socio unico e remunerazione del capitale
Nella nota viene esaminato il caso di un’associazione impresa sociale che abbia un unico socio nella forma di Consorzio senza scopo di lucro, la cui composizione vedesse il 68% dei soci profit, il cui CdA è espresso da rappresentanti dei soci profit.
La presenza di un socio unico, ancorché di natura consortile, non appare compatibile con la stessa natura giuridica di associazione come delineata dal legislatore nel codice civile.
Qualunque sia la forma giuridica applicabile è possibile produrre utilità sociale nel rispetto delle norme di legge poste a presidio della realizzazione delle attività volute dal legislatore.
È possibile quindi adottare qualunque modello organizzativo che risulti conforme allo svolgimento in via stabile e principale di un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro, volta al perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.
L’assenza dello scopo di lucro costituisce requisito essenziale ai fini della qualificazione di un ente quale impresa sociale: ciò vale con riferimento non soltanto al lucro oggettivo, ovvero al normale svolgimento dell’attività organizzata in forma di impresa, ma anche a quello soggettivo, ovvero all’arricchimento personale ed egoistico da parte di soggetti che, a vario titolo, partecipano all’attività d’impresa.
Vero è che è consentito di remunerare in misura limitata il capitale conferito dai soci attraverso la distribuzione di dividendi utilizzando a tale fine una quota inferiore al 50% dei propri utili e avanzi di gestione, dedotte le eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti; o di recuperare il capitale effettivamente versato dai soci, eventualmente rivalutato o aumentato, nonché i dividendi deliberati e non distribuiti.
E’ inoltre vietato, agli enti con scopo di lucro, di esercitare “attività di direzione e coordinamento o detenere, in qualsiasi forma, anche analoga, congiunta o indiretta, il controllo di un’impresa sociale ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile”.
Il parere del Ministero
Il Ministero conclude che la presenza, all’interno degli assetti proprietari, di soggetti “for profit” in misura consistente, fa sì che l’impresa sociale si trovi di fatto sottoposta al controllo di soggetti aventi una natura giuridica incompatibile con quella dell’impresa sociale stessa. Le cariche sociali differenti dalla Presidenza dell’ente possono essere assunte anche da soggetti nominati da enti aventi scopo di lucro, a patto che ciò non possa provocare lo sviamento dell’impresa sociale dalle finalità di legge.
Infine, con riferimento alla carica di vicepresidente dell’impresa sociale, qualora questi, conformemente allo statuto può, in caso di assenza del presidente, assumerne i relativi poteri e conseguentemente la relativa capacità di influenzare o indirizzare l’impresa.
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