Laddove la norma che dispone degli adempimenti contributivi a carico dei datori di lavoro può essere soggetta a interpretazioni discordanti, l’ente previdenziale non può ritenere sussistente l’evasione contributiva anziché il più lieve reato di omissione contributiva, in quanto la possibilità di interpretare la norma in modi diversi può escludere, di fatto, il fine fraudolento, salvo prova contraria, della condotta del datore di lavoro.Con questo principio la Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 11626 del 7 giugno 2016, ha risolto la diatriba tra l’INPS e un’impresa privata circa il contenuto dell’ex articolo 1, comma 39, della Legge n. 243/2004: il contrasto sulle informazioni da fornire all’ente previdenziale in base a questa norma, nel caso in specie, è sufficiente ad escludere che il datore di lavoro abbia volutamente occultato rapporti e retribuzioni al fine di non versare contributi.