Dimissioni della lavoratrice madre-lavoratore padre
La Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 28 del 7 novembre 2014 , ha risposto ad un quesito di ARIS (Associazione Religiosa Istituti Socio-sanitari), in merito alla corretta interpretazione dell’art. 55, comma 5, D.Lgs. n. 151/2001, concernente la possibilità della lavoratrice madre o del lavoratore padre di presentare le dimissioni senza l’osservanza del preavviso sancito dall’art. 2118 c.c.
In particolare, l’istante chiede se la disposizione si riferisca alle dimissioni presentate durante il primo anno di vita del bambino, ovvero a quelle comunicate al datore di lavoro entro il compimento del terzo anno.
La risposta del Ministero:
“…In ordine alla questione circa l’obbligo di preavviso nel caso di dimissioni, l’art. 55, comma 5, stabilisce che “nel caso di dimissioni di cui al presente articolo, la lavoratrice o il lavoratore non sono tenuti al preavviso”.
La disposizione, sebbene faccia riferimento all’articolo 55 nel suo complesso, è evidentemente riferita all’ipotesi di “dimissioni” presentate nel periodo in cui sussiste il divieto di licenziamento e cioè fino al compimento di un anno di età del bambino (cfr. artt. 55, comma 1 e 54, comma 1, D.Lgs. n. 151/2001). Ciò in considerazione del fatto che le modifiche relative all’estensione temporale da 1 a 3 anni, …, riguardano esclusivamente la procedura di convalida delle dimissioni stesse.”.
Somministrazione irregolare, distacco illecito e “lavoro nero”
La Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 27 del 7 novembre 2014 , ha risposto ad un quesito di Confimi Impresa , in merito alla corretta interpretazione degli artt. 27, comma 2, e 30, comma 4 bis, D.Lgs. n. 276/2003, concernenti le ipotesi di somministrazione irregolare e di distacco illecito.
In particolare, l’istante chiede se nei suddetti casi possa essere riscontrata anche la fattispecie del “lavoro nero” ai fini dell’applicazione del regime sanzionatorio della maxisanzione di cui alla L. n. 183/2010, nonché per l’adozione del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008.
Cassazione: licenziamento ed interpretazione dell’articolo 18
Con sentenza n. 23669 del 6 novembre 2014, la Cassazione, intervenendo su un ricorso relativo ad un licenziamento adottato da una azienda del credito, ha affermato alcuni principi interpretativi relativi alla nuova dizione dell’art. 18, comma 4, della legge n.300/1970alla luce delle novità introdotte dalla legge n. 92/2012 che si riferisce alle ipotesi di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.
Quest’ultima disposizione, correlata al licenziamento disciplinare, prevede in caso di insussistenza del fatto contestato o, qualora lo stesso sia punito, contrattualmente, con una sanzione conservativa, la c.d. “reintegra ridotta”, con la ricostituzione del rapporto di lavoro, accompagnata da una indennità di natura risarcitoria compresa tra 5 e 12 mensilità, detratto, l’eventuale “perceptum” e “l’aliunde percipiendum“, oltre al pagamento della contribuzione per L l’intero periodo maggiorata degli interessi ma senza sanzioni.
Ebbene, circa l’insussistenza del fatto la Suprema Corte afferma che lo stesso va inteso nella sua componente materiale con esclusione di ogni dimensione soggettiva come, invece, aveva interpretato la giurisprudenza di merito in alcune decisioni ove l’insussistenza del fatto era stata intesa globalmente in un unicum tra le due componenti. Da ciò ne discende che la reintegra avviene, in caso di insussistenza del fatto, soltanto in presenza di un fatto posto alla base del licenziamento rilevatosi inesistente, senza alcun riferimento alla proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità del comportamento.
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